Sono stato invitato recentemente ad un incontro di presentazione e discussione del testo INVALSI sul “Rapporto di autovalutazione” che riguarda la scuola dell’infanzia. È stata per me l’occasione di fare una lettura attenta di questo corposo documento (circa 50 pagine) e di confrontarmi con chi (insegnanti, pedagogisti, dirigenti scolastici) dovrà renderlo operativo nella scuola. Alla stesura e alla revisione di questa Guida ha lavorato un’équipe di indubbia competenza nel campo della scuola dell’infanzia.

L’autovalutazione è un momento importante per ciò che attiene alla professionalità delle insegnanti che operano nella scuola. In campo pedagogico trova i suoi presupposti nell’ambito della ricerca-azione ed ha come obbiettivo il miglioramento della qualità del lavoro educativo a patire dal riconoscimento di indicatori di qualità misurabili, del riconoscimento di criticità e della possibilità di superarle (o di abbassarne il livello) attraverso la messa in atto di specifici interventi e di decisioni. Il contesto è quello tipico di una organizzazione istituzionale, sistemica, quale è la scuola.

In un quadro complessivo di valutazione della qualità educativa della scuola, l’autovalutazione si deve correlare all’eterovalutazione, quella cioè compiuta da soggetti altri, capaci di uno sguardo esterno, critico e al tempo stesso propositivo, che deve tener conto dell’autovalutazione, ma esercitando su di essa un diverso registro di lettura.

Il documento INVALSI ha una struttura rigorosa: sono 5 sezioni, alcune di esse suddivise in varie sottosezioni ognuna delle quali si chiude con una “rubrica di valutazione” scandita su 7 gradi di giudizio: da molto critico ad eccellente.

La domanda che mi sono posto e che ho posto nell’incontro a cui ho partecipato, è la seguente: perché un percorso di autovalutazione viene innescato/promosso attraverso una guida definita dall’INVALSI, quindi a livello centrale, uguale per tutte le scuole del “regno”? Non dovrebbe questa modalità riguardare essenzialmente l’eterovalutazone, dove i criteri oggettivi hanno un ruolo ben più significativo?

Capisco che con questo documento si sia voluto affermare l’importanza dell’autovalutazione come “atto prescrittivo” nella gestione della scuola e nella promozione della sua qualità, dando precise indicazioni in merito; ma se si tratta, appunto, di autovalutazione, forse anche lo strumento che si usa dovrebbe essere il risultato di una elaborazione che si sviluppa dall’interno della scuola, per quanto non in maniera autoreferenziale ma guidata da pedagogisti, in un contesto di identità territoriale o di “impostazione pedagogica” condivisa in un certo bacino. Non è un ossimoro docimologico che un processo di autovalutazione venga promosso attraverso uno strumento “etero” imposto da fuori?

Lavorare seriamente, come è giusto che sia, a questo strumento in tutte le sue parti richiede, così mi ha detto un’insegnante che ci si è applicata, almeno 50 ore. L’impressione che se ne ricava è quella di una autovalutazione pesante. La scuola credo abbia bisogno di leggerezza che, come ha scritto Italo Calvino nella sua celebre lezione americana “non si associa con la vaghezza e l’abbandono al caso”. L’autovalutazione dovrebbe avere anche un respiro narrativo, rispecchiare identità. I “format”, le tassonomie classificatorie predisposte per entrare in data-base programmati sono più consoni all’eterovalutazione.

Ad un certo punto della Guida si dice che “l’azione di una scuola può definirsi efficace quando assicura i risultati a distanza nei percorsi di studio successivi”. Stiamo tornando alla scuola dell’infanzia come “scuola preparatoria” o “prescuola”? Mi spiace, ma la rivista Infanzia ha sempre sostenuto, e continuerà a farlo, l’identità pedagogica del ciclo 0-6, la sua specificità nel costruire percorsi didattici sulla base di campi d’esperienza. La sua efficacia dipenderebbe dai voti che un bambino prende nella scuola primaria…? Difendendo il carattere specifico della scuola dell’infanzia che, sia chiaro, assuma strumenti di autovalutazione, difendiamo la specifica professionalità dell’insegnante che lavora in questa fascia d’età.

A proposito: nella Guida INVALSI all’autovalutazione dove sono il gioco e il corpo del bambino…?

 

Roberto Farné

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