Il massaggio educativo di uno smartphone

 

Roberto Farné

 

È domenica, tardo pomeriggio di una fredda giornata di inizio gennaio, salgo sul bus per tornare a casa e sale anche una famiglia: due genitori all’apparenza trentenni con una bambina che forse non ha 12 mesi, in un accogliente passeggino. Sono italiani, si dispongono nello spazio riservato alle carrozzine, la bambina piange. Il pianto di un bambino è un linguaggio: a seconda dell’intensità, del tono, dei movimenti che lo accompagnano, può voler dire cose diverse. In questo caso più che un pianto vero e proprio è un lamento, forse per stanchezza, noia, bisogno di coccole… La mamma estrae dalla borsa lo smartphone, pigia velocemente qualche tasto e in pochi secondi sul piccolo schermo compare un cartoon di Peppa Pig, il volume è alto quanto basta perché chi è vicino, come me, possa sentire il vociare dei personaggi e la musica che li accompagna. La mamma tiene lo smartphone a circa 30 cm dagli occhi della bambina che lo fissa, e smette di piangere. I due genitori nel frattempo parlano tra loro; il cartoon dopo un paio di minuti si interrompe e la mamma prontamente lo riattiva. La bambina continua a guardare, i genitori a parlare tra loro. Il cartoon è in inglese, imparare l’inglese fin dai primi anni dell’infanzia è importante… Dopo due fermate io scendo, loro proseguono.

Un altro giorno, aspetto il bus per andare in stazione a prendere il treno, una mamma di origine non italiana ha una bambina nel passeggino. Anche loro aspettano il bus. Nell’attesa la mamma estrae dalla borsa lo smartphone e lo dà alla bambina mostrandole come può “giocare” sfiorando col dito lo schermo dove compaiono delle immagini. La bambina maneggia l’apparecchio con le sue piccole dita e guarda; la mamma nel frattempo estrae dalla borsa un altro telefonino, chiama qualcuno e parla. Arriva il mio bus, salgo e vado, non prima di aver scattato, col mio smartphone, alcune “foto-ricordo”.

A distanza di pochi giorni ho assistito a due esempi di media education nella prima infanzia. Il medium è lo smartphone, altrimenti detto mobile, telefono mobile, come “mobili” sono le situazioni che hanno connotato tali esperienze: su un autobus e alla fermata di un autobus. Mi viene in mente Culture Mobile. Les nouvelles pratiques de communication: il titolo di una importante ricerca di André Caron e Letizia Caronia (Montreal, 2005). L’education sta nell’insegnare al bambino secondo modalità attive e ludiche, fin dalla più tenera età, a fissare la sua attenzione su suoni e immagini di uno schermo che lo accompagna ovunque e col quale può interagire con modalità touch: il tatto, la vista, l’udito sono interconnessi sul medium (rimangono liberi, al momento, l’olfatto e il gusto). L’attenzione del bambino è catturata dalla situazione cinestetica: per prove ed errori, toccando qua e là lo schermo e facendo scorrere le sue dita su di esso, ne impara le caratteristiche e le memorizza come sequenze.

Oltre che di media education, le due situazioni mi hanno fatto pensare che si tratta anche di altro: quelle bambine non guardano le persone intorno a loro, non attivano la loro curiosità sullo spazio e su ciò che in esso si muove e sta fermo, sentono ma non ascoltano le voci e i rumori dell’ambiente. È un’altra educazione estetica. Marshal McLuhan ci ha lasciato prima che queste nuove tecnologie entrassero nella nostra vita quotidiana. Il suo principio, quello che lo ha reso famoso, è che “Il medium è il messaggio”, ma in altre occasioni, giocando abilmente con le parole come sapeva fare, disse che il medium è il massaggio. Le mamme e i papà sanno che bambini, soprattutto nella prima infanzia, hanno bisogno di essere massaggiati; gli smartphone lo fanno benissimo. 

 

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Infanzia, n. 1 gennaio-marzo 2017

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