Michela Schenetti

Professoressa associata, Dipartimento di Scienze Dell'Educazione "Giovanni Maria Bertin", Università di Bologna

 

Esattamente vent’anni fa Piero Bertolini scrisse: «È il nuovo e il non previsto che ci spinge ad andare oltre e ci obbliga ad essere intensamente noi stessi» (2001). Da più di un anno questa frase mi accompagna per la sua frastornante attualità. L’imprevedibile che ci spinge a compiere passi non ancora tentati per superare nuovi ostacoli, senza poter contare sulla certezza dell’esito e con l’unica consapevolezza che per cambiare occorre sconfiggere l’immobilità, muoversi, accettare la novità, buona o cattiva che sia, sforzarsi di analizzarla, cambiare punto di vista, per trovare appigli, e scoprire varchi. E mentre osserviamo per comprendere e cercare vie di superamento, ci rendiamo conto che quella situazione ci appartiene sempre di più. Quella relazione che ha preso forma dal ‘dover stare’, dal ‘dover fare’, dal ‘tentare di risolvere e superare’ ha coinvolto la nostra attività intenzionale, la necessità di dare un senso all’esperienza complessiva e nello stesso tempo ci ha spronato a metter in campo energie e competenze inedite che probabilmente già ci appartenevano, ma che non trovavano spazio nell’apparente consuetudine della normalità. Quel nuovo, rappresentato dalla pandemia globale, ha obbligato educatori, insegnanti, coordinatori a mettere in campo risorse personali e professionali per raggiungere bambini e famiglie anche nei momenti più difficili, anche quando loro stessi si trovavano ad avvertire la necessità di essere accolti e supportati come genitori o professionisti.
Questo numero monografico raccoglie con spessore e delicatezza quello che nei servizi educativi è nato dopo il ‘terremoto da Covid-19’. Tra le pagine è possibile trovare la ricchezza di quei numerosi cantieri di sperimentazione, innovazione e cura che sono nati tra chiusure, aperture, nuove chiusure e riaperture, richiedendo ogni volta di aspettare che la polvere si posasse per comprendere cosa ancora rimanesse ed in quale direzione orientare il consolidamento e la ricostruzione. Le esperienze documentate da diversi coordinatori pedagogici evidenziano quanto le pause forzate siano state vissute come occasioni per uscire da abitudini, allenare il pensiero critico-riflessivo dei gruppi di lavoro, indagare il senso e le modalità delle scelte e delle prassi educative e didattiche. Lo spazio educativo ha saputo uscire dalle mura dei servizi per trasformarsi in spazio relazionale tra adulti e bambini, il cui legame è rimasto saldo, sebbene a distanza, perché mantenuto dal desiderio di condividere esperienze e di arricchirsi vicendevolmente.
E così, mentre qualcuno, come ci raccontano le storie contenute in queste pagine, ha aperto i giardini dei servizi educativi per ridimensionare i vissuti di paura permettendo l’incontro in luoghi sicuri; qualcun altro ha arricchito le proprie competenze digitali per raggiungere i bambini con linguaggi narrativi e, ancora, c’è chi ha implementato le occasioni di confronto tra operatori (educatori e mediatori familiari) e con le famiglie, per aprirsi all’ascolto, per accompagnare le emozioni più difficili e ritrovare quella dimensione di comunità così preziosa nei servizi zero-sei. In un recente volume Educarsi in tempo di crisi (2020) Elena Malaguti invita a riflettere in termini di ecologia sociale e umana, leggendo la realtà non solo da un punto di vista sanitario ma anche ambientale, culturale e educativo, ripensando questo tempo come l’occasione per interrogarsi sulla natura delle relazioni e delle azioni da compiere in modo interdipendente e con uno sguardo orientato al futuro. Credo che, mai come prima, adulti e bambini abbiano potuto sentire, con la stessa intensità, di essere accomunati da bisogni molto simili: il bisogno di benessere, di riappropriarsi di tempi e spazi più umani, di poter recuperare le relazioni interpersonali nonostante l’esigenza di distanziamento, il bisogno di sentirsi connessi con se stessi, con gli altri e con il mondo. Da diversi anni sostengo la promozione dell’educazione all’aperto nelle progettazioni pedagogiche dei servizi per l’infanzia e nelle scuole. Mentre scrivo, è in corso la concertazione pubblica delle linee pedagogiche per il sistema integrato zero-sei (Miur) che finalmente ne evidenziano la portata e il valore in termini educativi. Recentemente un gruppo di psicologi, pediatri, neuropsichiatri appoggiati da altri professionisti, ha osservato come l’isolamento e la solitudine da pandemia, lo stile di vita sedentario e il clima di paura e contenimento diffuso, abbiano avuto gravi ricadute sulla salute mentale di bambini e ragazzi, e ha promosso un appello rivolto alle istituzioni per inserire l’educazione all’aperto nei protocolli di sicurezza da Covid-19 nelle scuole. I dati della ricerca scientifica evidenziano chiaramente e da anni quanto i benefici psicofisici, cognitivi e sociali siano correlati ad una relazione non episodica con gli spazi esterni, soprattutto se in contesti naturali. Ma si sa, non è sufficiente riversarsi nei parchi e nei giardini per educare all’aperto e per tale motivo in questo numero troverete diversi articoli che possono arricchire la riflessione sul tema. Come avrebbe ricordato Sir Ken Robinson (2016), siamo tutti nati con straordinari poteri di immaginazione, intelligenza, sentimento, intuizione, spiritualità. La nostra speranza per il futuro è quella di adottare una nuova concezione dell’ecologia umana, ricostruendo la nostra fiducia nella capacità dell’uomo e riconoscendo la creatività come una competenza fondamentale fin dalla prima infanzia. Ogni crisi porta con se un’opportunità, non ci resta che partire da questa.

 

Bertolini P., (2001), Pedagogia Fenomenologica. Genesi, sviluppo, orizzonti, La Nuova Italia, Firenze.
Malaguti E., (2020), Educarsi in tempi di crisi. Resilienza, pedagogia speciale, processi inclusivi e transizioni, Ed. Aras, Fano.
Robinson K., (2016), Scuola Creativa. Manifesto per una nuova educazione, Erickson, Trento.

 

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Infanzia, n. 2 aprile-giugno 2021

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