Lucia Balduzzi

 

In questo numero di “Infanzia” si festeggiano i 50 anni della rivista fondata da Piero Bertolini e Franco Frabboni nel 1973. Per ricordare il cinquantennale è stato organizzato a Bologna un seminario di studi dal titolo “Immaginare l’Infanzia” di cui questo numero raccoglie gli atti.

Come sempre sono in ritardo con la scrittura dell’editoriale che avevo comunque già strutturato nella mia mente come un testo leggero nel quale ripercorrere quanto realizzato in questi 50 anni e quanto ancora possiamo fare, insieme, pensando all’implementazione del sistema integrato 0-6, alla diffusione dei servizi e dei coordinamenti pedagogici laddove ancora carenti, per la qualificazione dei servizi e del personale.

Poi ho letto, come molti di voi, i resoconti dei fatti degli ultimi giorni, di Pisa e Firenze; come voi ho visto le immagini riportate soprattutto dal tam tam dei social e a questo punto non mi sento più in vena di festeggiare alcunché.

I servizi e le scuole dell’infanzia sono i primi luoghi in cui le istituzioni incontrano i bambini e le bambine e lo fanno ispirandosi ai valori della democrazia, dell’educazione alla pace e alla non violenza, alla gestione autonoma dei conflitti. Sono luoghi in cui si apprende il rispetto per l’altro, la solidarietà con il più piccolo (che a volte è anche il più debole), che è necessario negoziare insieme regole e comportamenti condivisi per stare insieme. Si gettano le basi per lo sviluppo dell’autonomia che è sia sociale e affettiva sia cognitiva, si pensa insieme ai bambini anche rispetto a temi importanti e “filosofici”, affinché siano in grado di scegliere, ovviamente entro un non ampio spettro di opzioni, quello che per loro è giusto o sbagliato.

All’adulto il compito di contenere, indirizzare, supportare, mediare, rilanciare... perché è l’adulto che è adulto, e ad esso è richiesto di essere capace di svolgere tali funzioni. L’adulto rappresenta, in un nido e in una scuola dell’infanzia, la comunità sociale più ampia anche nei suoi ruoli di indirizzo, normativi e di contenimento. In tal senso, l’educazione è politica, come affermava Bertolini, non tanto perché incarna e agisce situazioni di potere e veicola il consenso (il potere dell’adulto sul bambino e sul suo percorso formativo), quanto piuttosto poiché assume alcuni valori e li incarna nella prassi. Valori che, essendo le istituzioni educative parte di un sistema sociale e comunitario più ampio, dovrebbero risuonare nell’intera comunità la quale, proprio grazie a questa risonanza, si fa educante.

I fatti di Pisa e Firenze ci dicono che, forse, la pedagogia della cura, dell’ascolto, del pensiero critico non sono più adatte per questo contesto sociale: che cresciuti i bambini e le bambine di cui ci occupiamo, un giorno adolescenti e non ancora adulti, si troveranno un “mondo” troppo distante, incapace di dialogo, di ascolto e di contenimento non violento.

Varrebbe la pena di interrogarsi se questo rappresenti il fallimento della nostra pedagogia o di un certo mondo adulto; se il problema è il secondo, allora abbiamo ancora tanto da lavorare.

 

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Infanzia, n. 1 gennaio-marzo2024

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